martedì 13 aprile 2010

Il Futuro dei Ricercatori

Ciao a tutti,
negli ultimi mesi il DDL Gelmini sulla riforma della scuola ha fatto molto discutere, mentre il progetto di riforma dell'Università sta quasi passando sotto silenzio. Tra i punti più discussi c'è il nuovo "assetto" della figura del ricercatore universitario. Abbiamo chiesto al professor Faccio, che ringraziamo per la gentile collaborazione, di spiegarci cosa sta succedendo:
Prima di entrare nel merito delle DDL Gelmini, spendo due parole per illustrare la situazione attuale del ricercatore che potrebbe essere utile per riuscire a capire le ragioni della protesta in atto.
Lo stato giuridico del ricercatore è determinato da una legge (e non da un contratto  come avviene per la maggior parte dei lavoratori). Questa legge impone pochi doveri ma concede anche pochi diritti. Il ricercatore deve compiere ricerca, anche in modo indipendente. Attualmente è previsto un solo momento di giudizio del proprio lavoro, alla fine dei primi tre anni di servizio in cui si chiede la conferma della propria posizione. 
La didattica viene svolta dal ricercatore dietro il suo consenso e in accordo con la Facoltà. Il ricercatore non è tenuto per legge a svolgere didattica. Lo fa per vari motivi: 1) oggi, il ricercatore prende servizio in un ambiente in cui fare anche didattica è la norma e non l'eccezione. Quindi "deve" farlo. 2) Solitamente lo fa anche volentieri,  anche come modo per stare a contatto con gli studenti. Didattica e ricerca si sostengono l'uno sull'altro. Un'università che svolge solo didattica lo farebbe inevitabilmente ad un livello più basso e sarebbe una specie di super-liceo. E un'università senza studenti  sarebbe culturalmente più povera.
Riassumendo: i professori associati e ordinari si incaricano di gestire ed effettuare la maggior parte della didattica, Il ricercatore si incarica di fare la ricerca. 
Questo è quello che dovrebbe essere ma la realtà è diversa.
Negli ultimi anni, immagino per far fronte ai  tagli dei finanziamenti, le Facoltà hanno continuato ad assumere ricercatori in base a esigenze di didattica e NON di ricerca. 
Con il passare del tempo quindi si è creata una situazione in cui molta della  didattica viene svolta dai ricercatori. Indipendentemente dai numeri, se oggi i ricercatori si rifiutassero di fare didattica, la maggior parte dei corsi di laurea rischierebbero la chiusura.

Veniamo ora  alla DDL Gelmini e alla protesta.
La protesta dei ricercatori ruota fondamentalmente attorno a due punti:

  1. il futuro degli attuali ricercatori;

  2. le prospettive dei futuri ricercatori.
 La DDL di fatto cancella l'esistenza del ricercatore universitario. Non è più prevista questa posizione e la legge vuole imporre agli attuali ricercatori gli stessi obblighi dei professori associati, i.e. lo svolgimento obbligatorio di almeno 350 ore di didattica. Fin qui nulla di gravissimo (anche se molti miei colleghi vedono già qui un grave problema). All'estero la figura del ricercatore a tempo indeterminato non c'è. La ricerca è svolta da personale a  tempo determinato e il personale a tempo indeterminato svolge ricerca e anche didattica. Tuttavia, questo cambiamento avviene con un'equiparazione dei doveri ma non dei diritti. Rimaniamo ricercatori con lo stipendio del ricercatore e senza la possibilità di accedere agli stessi finanziamenti e incarichi universitari (e.g. all'interno delle Facoltà e Dipartimenti) dei professori.
Peggio ancora, viene di fatto negata la possibilità al ricercatore di diventare associato, anche se lo volesse. Questo per colpa del successivo punto...

2) Il ricercatore viene sostituito da una figura a tempo determinato, quello che ad alcuni piace chiamare "tenure track".  All'estero il tenure track è una posizione di prova, solitamente di 5 anni e con cui si accede alla posizione di professore. Alla fine dei 5 anni si viene giudicati da una commissione e, se il giudizio è positivo (quasi la norma), il passaggio a professore è garantito. Ci sono pochissime eccezioni a questa regola, e.g. l'MIT che per politica interna assume solo professori dall'esterno. Ma stiamo parlando dell'MIT...
Comunque, in qualunque caso, terminata la tenure track, si è liberi di rimanere come professore oppure di andare in un'altra università.
E la tenure track italiana? Sono 3+3 anni. Alla fine di questi 6 anni si viene giudicati e si ottiene l'idoneità per diventare associato. Peccato che non vi è alcun obbligo per l'università di assumere il neo-professore. Al contrario, attualmente sono previsti tagli ai fondi per le Università che, congiuntamente all'obbligo di spendere meno del 90% di questi fondi per personale (pena l'impossibilità di procedere ad altre assunzioni) si profila una situazione in cui almeno per i prossimi 5-10 anni pochissime università in Italia potranno assumere. 
Altro dettaglio: se alla fine dei 6 anni non si prende servizio come professore, si viene esclusi dal sistema universitario italiano. Per sempre.
Quindi la domanda è: sapendo che l'università non può assumere perché non ha i soldi per farlo, voi accettereste una posizione a 6 anni senza futuro e che vi lascerà a piedi all'età di 34-36 anni, cioè proprio nel momento in cui i vostri coetanei stanno o hanno già costruito le basi per la propria carriera e.g. nell'industria?
Infine, i pochissimi "fortunati" che si sono collocati in una delle pochissime università che potrebbe assumere un associato, si troveranno in competizione con  i vecchi ricercatori dinosauri. La buona notizia è che se il preside di Facoltà ci ragiona su anche per 3 secondi, si accorgerà che la scelta ovvia a far diventare associato il tenure track (che altrimenti verrebbe buttato per strada con la perdita di forza lavoro) piuttosto che il ricercatore che già svolge la didattica di un associato, costa meno di un associato ed è già assunto a tempo indeterminato.

Nel complesso la DDL si prospetta come una legge che nel contesto italiano rischia di portare il sistema universitario al crollo. I vecchi ricercatori non avranno possibilità di carriera. Alcuni andranno all'estero, altri rimarranno. I nuovi ricercatori saranno fortemente scoraggiati dall'intraprendere la non-carriera universitaria che sarà basata solo sugli aspetti "deboli" della tenure track e senza alcuna garanzia. Anzi, nella maggior parte delle università  una garanzia ci sarà: finire per strada a 35 anni.

I ricercatori protestano non perché non accettano il cambiamento che è giusto che ci sia, ma perché vogliono evitare un cambiamento che non prospetta alcuna miglioria per l'università italiana, blocca la carriera a persone che sono state assunte in condizioni e con promesse ben diverse, rende legge il precariato e, anzi, dato il contesto italiano punta a sostituire il precariato con la disoccupazione.
Allo stato attuale mi sembra che sono una trentina le università in Italia in cui i ricercatori hanno già ufficializzato la propria posizione e la minaccia di sospendere la didattica (per l'anno 2010-2011). Le altre università, come la nostra, si stanno mobilitando ora. La protesta è coordinata a livello nazionale da Marco Merafina il quale sta anche portando avanti una proposta di modifica (la proposta "Merafina")  che sostanzialmente chiede che il ricercatore venga parificato nei doveri ma anche nei diritti all'associato e si chiede anche venga tolta o modificata la nuova figura 3+3. Ci sono ovviamente molti aspetti che qui non ho trattato, ci sono molte posizioni e opinioni diverse ma la tendenza è di cercare di mantenere una linea comune e portare avanti una sola protesta a livello nazionale. Ci sono stati alcuni incontri recenti con il governo e se tutto va  bene porteranno qualche frutto. Lo scopo della protesta non è sospendere la didattica ma cercare di evitare a tutti costi di doverla sospendere. Per cui speriamo vivamente che la sola minaccia basti per ottenere il risultato senza dover mai passare ai fatti. 

Un paio di osservazioni personali conclusive:
In tutta Europa l'investimento nelle Università sta aumentando, anche per far fronte alla crisi e nella speranza di uscirne più forti. Perché in Italia si continua a tagliare, non solo sui finanziamenti, ma adesso anche sul futuro delle persone?
Questa DDL non è diretta a ottimizzare, fortificare e migliorare l'|Università ma, per stessa ammissione del governo, è diretta a risparmiare soldi, oggi e subito, senza considerare l'impatto che questo avrà domani.
Un esempio dell'impatto, già misurabile, delle scelte italiane: è appena uscita la classifica dei paesi che investono e sfruttano di più la tecnologia e l'innovazione ICT (information and communication technology). è un aspetto importante perché il benessere di un  paese moderno poggia sulla tecnologia e sulla rete per le comunicazioni, proprio come l'impero romano poggiava sulla sua rete viaria. Bene, l'Italia sta retrocedendo e ora è 48esima. La Francia è 18esima, la Spagna attorno alla 30esima. Davanti a noi ci sono anche il Montenegro e la Tunisia.
Ognuno avrà la sua opinione e siamo tutti esperti di economia, un po' come siamo tutti esperti di calcio durante i mondiali, ma svuotare le Università e risparmiare sulla cultura è una scelta oggettivamente molto discutibile.


5 commenti:

  1. Approvo appieno il tag "Alla guerra!". Io sono a favore di una bella occupazione della facoltà e dell'ufficio del rettore, magari contornando il tutto sparando fuochi d'artificio dalla terrazza.

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  2. Ok, io inizio col candidarti come rappresentante in Facoltà.. domani porta un paio di fotocopie della carta d'identità e fatti trovare in giro...

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  3. Pieno appoggio ai nostri ricercatori.. E' assurda questa situazione

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  4. A favore di un'occupazione anch'io.
    I fuochi d'artificio sarebbero fantastici.

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  5. Il tenure track e' molto competitivo ovunque. Non sarebbe una particolarita' italiana

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